La Costituzione della Repubblica Italiana recita all'Art. 9:
La Repubblica tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione.

mercoledì 19 ottobre 2011

Da un Segretario Comunale figlio di operaio con profonde radici contadine

Solidarizzo a occhi chiusi con Anna Marson.

Da un Segretario Comunale. Vecchia genie. 
Nel 1500 dalle mie parti, esattamente nello Statuto comunale di Offida del 1542, erano chiamati "Cancellieri"; allora come oggi i Notai dei Comuni; oltre che massimi loro burocrati.

Oggi, a vedere quello che vedono, con la politica ben sopra e oltre, parlo del piano giuridico e tecnico, non solo i Segretari Comunali ma tutta la dirigenza pubblica "fidelizzata e feudalizzata" (prendo le parole riportate mi sembra a pagina 37 del famoso Programma del governo Prodi 2006), a me sembra, e le prese di posizioni di altri Amministratori nei confronti di un Assessore regionale con la fortuna di coniugare competenze tecniche con quelle politiche lo confermano, si è come alla mercé di altro dai principi costituzionali di buon andamento, oltre che legalità e imparzialità della pubblica amministrazione. 

Da un Segretario Comunale figlio di operaio con profonde radici contadine.

19 ottobre 2011 Luigi Meconi

L'Inchiesta di La Repubblica - Archeologia vs industria

A San Casciano (Firenze) è scontro tra le ragioni dell'archeologia e quelle del lavoro. Al centro un capannone industriale e una casa etrusca. Da mesi non si riesce a venirne a capo.

Come conciliare le ragioni della tutela di paesaggio e beni culturali e le ragioni della crescita industriale? La questione continua a proporsi in un paese come l'Italia ricco di un patrimonio inestimabile, sul quale gravano incuria e indifferenza. Talvolta le due ragioni riescono a convivere, ma molto spesso l'elemento che prevale è il conflitto. Nascono lunghi e faticosi contenziosi che producono solo paralisi. Tanto più insopportabili in un periodo di crisi.

realizzata da Francesco Erbani insieme a Mario Neri per il video della parte toscana, Le Inchieste di La Repubblica online, 17 ottobre 2011

1 IL CASO - I posti di lavoro o l'archeologia? Scontro nel cuore della Toscana
2 IL CONFRONTO - Fabbrica o casa etrusca?
3 IL CASO - Sepino, l'antico tratturo romano scassato dalla strada dell'eolico
4 LA CENSURA - E la Soprintendenza chiama i carabinieri
5 IL VIDEO - "Andatevene, le riprese qui sono vietate"
6 LE IMMAGINI - La casa etrusca pomo della discordia

Questa inchiesta si muove fra la Toscana e il Molise. L'ha realizzata Francesco Erbani insieme a Mario Neri per il video della parte toscana. A San Casciano vengono rinvenuti i reperti di due edifici, uno etrusco, l'altro romano, nel cantiere dove si costruisce un capannone industriale di 300 mila metri cubi. Il Comune e l'azienda decidono di smontare i reperti e di rimontarli su una collinetta artificiale. È un'archeopatacca, insorgono le associazioni ambientaliste, che già avevano contestato la localizzazione della fabbrica. Il braccio di ferro è durissimo. I nervi tesi, come dimostra il fatto che la Soprintendenza di Firenze, favorevole alla ricollocazione, ha fatto chiamare i carabinieri per impedire ai nostri giornalisti di filmare o fotografare il sito archeologico.

Nel Molise, invece, potrebbe sorgere un impianto eolico lungo il crinale di una collina che sovrasta il sito archeologico di Saepinum, città prima sannitica e poi romana. Inoltre le pale, alte centotrenta metri, verrebbero impiantate lungo un antico tratturo. La strada, dove è visibile la pavimentazione romana, è stata ricoperta di pietrisco e usata come strada di cantiere. La Procura indaga e il Gip ha sequestrato il sito.

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L'Inchiesta di La Repubblica - I posti di lavoro o l'archeologia? Scontro nel cuore della Toscana

IL CASO - I posti di lavoro o l'archeologia? Scontro nel cuore della Toscana
di Francesco Erbani, La Repubblica online, 17 ottobre 2011


Succede a San Casciano Val di Pesa, in provincia di Firenze. Nel costruire il nuovo capannone di una fabbrica di camper, sono stati trovati i resti di una casa etrusca e di una romana. Soprintendenza e Comune sono d'accordo per smontarli e rimontarli in un apposito "parco archeologico". Ma la polemica adesso infuria
La fabbrica o la casa etrusca? A San Casciano Val di Pesa, provincia di Firenze, la soluzione sembra trovata: la casa etrusca la smontiamo pezzo per pezzo e pezzo per pezzo la ricostruiamo su una collinetta artificiale che ospiterà anche i ruderi di una casa romana. L’importante è che non si intralci il capannone industriale - 326mila metri cubi, 300 metri di lunghezza per 100 - durante la costruzione del quale sono stati rinvenuti i reperti sia della casa etrusca che di quella romana. Erano tutti d’accordo: la Laika, proprietaria del terreno e del futuro capannone, un’azienda che fabbrica camper, di proprietà della tedesca Hymer; il Comune, con una giunta a guida Pd; la Soprintendenza archeologica e il Comitato di settore del ministero per i Beni culturali. Sembrava fatta. Il progetto risale al giugno del 2010, le autorizzazioni procedono spedite, nessuno in paese ne sa nulla. Improvvisamente, sul finir dell’estate 2011, la notizia buca il velo di riservatezza e scoppia il finimondo. Intervengono le associazioni di tutela (Italia Nostra, Legambiente, Wwf), la Rete dei comitati toscani presieduta da Alberto Asor Rosa, ne scrive Salvatore Settis: quei muri hanno senso solo nel loro contesto, spostarli è un falso, un’operazione culturalmente inattendibile, un’archeopatacca.

E così il cantiere è fermo, chiuso da un recinto. La vicenda vede schierati su fronti opposti parti della sinistra, anche di quella più radicale. Rifondazione comunista e una lista civica a favore di una soluzione che contempli tutela archeologica, valorizzazione del territorio e difesa dell’occupazione; Pd, Cgil e Fiom furenti contro gli ambientalisti che per difendere i reperti metterebbero a rischio 240 posti di lavoro (tanti sono i dipendenti della Laika, attualmente impiegati nei vecchi stabilimenti). Uno scontro ruvido che ha raggiunto il culmine durante il consiglio comunale che qualche sera fa doveva discutere un ordine del giorno presentato da Lucia Carlesi (eletta nella lista Laboratorio per un’altra San Casciano, alleata di Rifondazione). Assistono alla riunione un centinaio di operai. Contestazioni, urla, parole grosse.

"Da anni sosteniamo che localizzare lo stabilimento della Laika in un’area agricola, di grande pregio paesaggistico e archeologico, era uno sbaglio", spiega Lucia Carlesi. "E ora i ritrovamenti lo dimostrano. Tutti sanno che questa è zona archeologica. Non si potevano fare sondaggi preventivi? Non c’erano altre aree? Questa è un’operazione di rendita immobiliare che niente ha a che fare con gli interessi dei lavoratori e della collettività". Replica dalle pagine fiorentine di Repubblica Alessio Gramolati, segretario della Cgil Toscana: "Non abbiamo nulla contro gli etruschi o contro l’ambientalismo. Siamo convinti che la sostenibilità è la frontiera obbligata dello sviluppo. Ma non un alibi per fermarlo. Perciò non ci convincono coloro che vedono la Toscana unicamente come terra del buon ritiro e non regione dove investire".

Se in dieci anni non si è riusciti a costruire il capannone non è colpa degli ambientalisti, insiste Claudio Greppi, geografo dell’Università di Siena e esponente della Rete. "Abbiamo sempre detto che questa era una soluzione poco praticabile. L’acquisto dell’area è del 2001, ma solo nel 2006 viene adottata la variante che trasforma in industriale un terreno che era agricolo". E poi, si domandano gli ambientalisti, perché il nuovo stabilimento è così grande, ben più grande dei capannoni dove attualmente si lavora? Sono stati presentati esposti e ricorsi, sempre respinti dai giudici. Fra gli avversari della localizzazione anche Anna Marson, docente di urbanistica e ora assessore regionale.

Favorevoli e contrari si fronteggiano da anni. Ma nel corso del 2010 spuntano i reperti. Sono resti di due case. Una, quella tardo etrusca (III secolo a.C.) è a un’estremità del perimetro del capannone, l’altra, quella di epoca romano-ellenistica, al capo opposto. Sono ambienti di diversa ampiezza. Ma di essi si sa poco o niente. Ancora non c’è una relazione definitiva della Soprintendenza che chiarisca quale sia il valore dei ritrovamenti. Subito dopo la scoperta, però, la Laika e il Comune si accordano per smontare i muri e ricollocarli sulla collinetta artificiale. A novembre del 2010 vengono informati la Direzione regionale dei Beni culturali e il Ministero. E dopo qualche mese, a gennaio 2011, arrivano le autorizzazioni.

La soprintendente archeologica, Maria Rosaria Barbera, non ha ancora visto i reperti. Dirige la sede fiorentina da gennaio. "I ritrovamenti non hanno grandissimo valore", assicura Barbera. "Lo smontaggio e il rimontaggio sono le uniche soluzioni possibili, vagliate e approvate da tutti gli organi tecnici", aggiunge la soprintendente ricordando che nel Comitato di settore del ministero siedono archeologi di esperienza come Giuseppe Sassatelli e Mario Torelli. Ma non era possibile lasciare lì i reperti e chiedere una leggera modifica al progetto? In fondo si trattava di arretrare di pochi metri, il capannone di metri ne conta 300... "Se avessimo deciso altrimenti lo scavo non sarebbe potuto andare avanti. E poi smontare e rimontare consente anche una migliore conoscenza delle strutture murarie". Chi paga per queste operazioni? "La Soprintendenza no di sicuro".

Stando agli accordi, la Laika paga lo smontaggio, la sistemazione e la valorizzazione spettano al Comune. Si parla anche della Regione, ma la giunta non si è ancora pronunciata. Il tema dei costi, insieme a quello della credibilità culturale dell’operazione, è fra i più dubbi, secondo Giuliano Volpe, archeologo di fama e rettore dell’Università di Foggia: "Smontare e rimontare è una procedura complessa e costosa, che l’archeologia conosce bene. È riservata a scoperte eccezionali oppure a mosaici o parti di pavimentazione. Meno alle murature. Nel 1998 abbiamo staccato i mosaici della chiesa paleocristiana di San Giusto, vicino a Lucera, che ancora sono in attesa di collocazione. Ma l’operazione è stata giustificata dalla costruzione di una diga. Non per far posto a uno stabilimento". Inoltre, se si tratta effettivamente di piccoli muri di scarso valore, perché, aggiunge Volpe, "spendere tanti soldi per un finto parco archeologico che tratta i reperti come componente d’arredo"? Si abbia il coraggio di portare la decisione alle estreme conseguenze: "Si documenti e si pubblichi l’intero contesto archeologico, e lo si sacrifichi autorizzando la costruzione del capannone al di sopra dei resti".

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L'Inchiesta di La Repubblica - Fabbrica o casa etrusca?


IL CONFRONTO - Fabbrica o casa etrusca?
di Francesco Erbani, La Repubblica online, 17 ottobre 2011


Ecco il racconto, con i punti di vista dei diversi protagonisti, che va in onda da tempo nella pace della campagna fiorentina in quel di San Casciano. La Laika (camper) vuol costruire un capannone industriale, ma nel terreno saltano fuori importanti reperti archeologici. Si trova una soluzione (spostare i reperti) un po' "italiana" e scoppia la guerra.

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L'Inchiesta di La Repubblica - E la Soprintendenza chiama i carabinieri

LA CENSURA - E la Soprintendenza chiama i carabinieri

di Francesco Erbani, La Repubblica online, 17 ottobre 2011

Anche i carabinieri a difesa del sito etrusco contestato
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Nervi tesi a San Casciano Val di Pesa. Gli archeologi cercano di vietare le riprese di uno scavo pubblico e fanno intervenire l'Arma per stoppare il nostro cronista e il nostro operatore. Invano, come potete constatare guardando il video

"Andate via! Andate via subito!". "Siamo giornalisti, stiamo riprendendo lo scavo". "Non potete, è vietato dal Codice dei beni culturali. Se non ve ne andate chiamo i carabinieri". San Casciano Val di Pesa, pomeriggio di giovedì 13 ottobre. Con una telecamera ci avviciniamo al cantiere dove è in costruzione lo stabilimento della Laika e dove sono stati rinvenuti i reperti di una casa romana e di una casa etrusca. I muri sono scoperti. Rimaniamo fuori dal recinto e iniziamo le riprese. La giovane archeologa si avvicina a noi correndo e urlando. "Andate via! Andate via subito!". Noi continuiamo le riprese. Lei si gira, afferra il cellulare che ha in tasca e inizia a telefonare. Intanto un operaio esce dal cantiere, si avvicina alla nostra macchina e alla moto di Claudio Greppi, che aspetta di essere intervistato da noi. Su un foglio che ha in mano l’uomo annota i numeri di targa, neanche stessimo per scappare.

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I carabinieri arrivano, ci identificano e il maresciallo ci comunica che una funzionaria della Soprintendenza di Firenze, avvisata dall’archeologa che è sul cantiere, ci diffida: non possiamo pubblicare niente di quel che abbiamo ripreso con la telecamera. Niente immagini, niente foto. Niente di niente. Come se fossimo su un sito militare o stessimo frugando segreti industriali. "Altrimenti scatta una denuncia". Chiediamo a quale norma si appoggi questo divieto. Lui non sa darci una spiegazione. Ci riferisce solo quel che gli ha detto la funzionaria: lo vieta il Codice dei Beni culturali. Non abbiamo il testo sottomano, ma ci sembra poco verosimile. E in effetti il Codice, lo accertiamo con qualche telefonata, non vieta alcunché. Non riusciamo a capire come in Soprintendenza possano essere convinti del contrario. Il maresciallo ci chiede se siamo entrati dentro il cantiere, se abbiamo avuto un alterco. Gli rispondiamo che siamo rimasti fuori dal cancello e che contro di noi si è avventata una persona che urlava.

I nervi a San Casciano sono a fior di pelle, vibrano appena vengono sfiorati. La vicenda Laika è rimasta avvolta in una nube di riservatezza che qualcuno vorrebbe durasse ancora. Le immagini e il video, invece, è possibile guardarli qui. Si riferiscono a un cantiere in aperta campagna, cinto appena da una rete di plastica a maglie larghissime che lasciano scorgere ogni cosa all'interno. I muri etruschi e romani sono lì, è un patrimonio culturale di proprietà dello Stato. Cioè di tutti. Chiunque può avvicinarsi e vederli. Sarebbe un paradosso se fossero vietati ai giornalisti.

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A questo articolo ha fatto seguito una lettera firmata Mariarosaria Barbera, la Soprintendente per i Beni Archeologici della Toscana

La Soprintendenza: "Solo la reazione di un'archeologa"

Una lettera della dottoressa Barbera, Soprintendente della Toscana spiega che a San Casciano i nostri cronisti sono stati respinti da una persona che ha agito in proprio senza indicazioni del suo ufficio. Ma le immagini dimostrano che un funzionario ha ribadito che i giornalisti non potevano fare riprese


Dalla dottoressa Mariarosaria Barbera, Soprintendente per i beni Archeologici della Toscana, riceviamo e pubblichiamo questa precisazione sull'episodio accaduto a San Casciano dove i nostri cronisti sono stati respinti mentre riprendevano il cantiere di scavo archeologico oggetto di una dura polemica tra lavoratori della Laika e ambientalisti. I fatti, però, stando alle immagini da noi pubblicate, sono andati diversamente.

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Gentile Direttore

Una troupe di Repubblica. it si è recata alcuni giorni fa sul cantiere di scavo archeologico di S. Casciano Val di Pesa, loc. Ponterotto per riprendere l'area dell'erigendo stabilimento Laika. Uno scavo recentemente oggetto di una campagna di stampa che, tra i primi effetti, certamente non desiderati ma oggettivi, ha generato l'interesse di malintenzionati che già due volte sono entrati e hanno danneggiato le protezioni di scavo.

Nel video, pubblicato sul vostro sito, un'archeologa perde la calma e tenta di allontanare i giornalisti, pur rimasti in area pubblica a ridosso del cantiere, risolvendosi infine a chiamare i Carabinieri. Fin qui la cronaca.

Poi un pesante tocco di fiction: "la Soprintendenza  -  commenta il giornalista  -  ha ordinato agli archeologi sul cantiere di tenere alla larga i giornalisti e diffidarli dal pubblicare le immagini". Come dire: la Soprintendenza per i Beni Archeologici della Toscana, da me attualmente diretta, ha di certo qualche "scheletro nell'armadio" e per questo complotta contro il quarto potere.

Sono francamente dispiaciuta per l'incidente. Ma non riesco a comprendere la ragione di tutto ciò: proprio la settimana scorsa ho rilasciato a Francesco Erbani un'intervista telefonica, né breve né omissiva, rispondendo alle domande poste e spiegando posizione e motivazioni della Soprintendenza (di cui peraltro ho assunto la direzione solo a gennaio). Perché non propormi di visitare lo scavo insieme, con la vostra telecamera? Avremmo organizzato tempestivamente e secondo regole che avrebbero tutelato sia la sicurezza dello scavo sia il diritto di cronaca. Senza spostare l'attenzione dalla consistenza dei reperti, il nocciolo della questione, alla reazione personale di un'archeologa.

Perché è dalla consistenza dei reperti che dipende la decisione del Ministero: le cui valutazioni tecniche e scientifiche saranno presto consultabili dal pubblico sulla rivista archeologica digitale Fasti on line, con un'ampia presentazione dello scavo e dei suoi risultati a cura della Soprintendenza. Le stesse valutazioni che forniamo in questi giorni a parlamentari e associazioni (? ndr).

Mariarosaria Barbera
Soprintendente per i Beni Archeologici della Toscana



Ed ecco la risposta degli inviati

"La replica della soprintendente di Firenze è stupefacente ed è smentita dal video che attesta come sono andati i fatti. E lascia senza parole l'intenzione di addossare ogni responsabilità all'archeologa che era sul sito di San Casciano e che avrebbe "perso la calma" e agito spinta da una "reazione personale". Noi siamo stati invitati con veemenza ad allontanarci dal cantiere e a non proseguire le riprese in virtù di una motivazione infondata ("lo vieta il Codice dei Beni culturali") che un funzionario della soprintendenza ribadisce parlando al telefono con il maresciallo dei carabinieri. Ciò è ampiamente dimostrabile sulla base della testimonianza di tutti i presenti alla scena, compreso il maresciallo dei carabinieri che ci riferisce il contenuto della telefonata".

Francesco Erbani e Mario Neri

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Caso Laika: tre donne contro lo “sviluppismo” della classe dirigente toscana

Il caso della ristrutturazione industriale dello stabilimento Laika di San Casciano, in provincia di Firenze, ha reso evidente come la classe dirigente toscana tutta (partiti, amministratori, industriali e sindacati, con il supporto di molta stampa) sia ormai avariata, incapace di fare i conti con la modernità, incredibilmente masochista nel non vedere le opportunità offerte dal superamento di una cultura sviluppista che tanti danni ha fatto nel secolo scorso e che ancora oggi vive e vegeta grazie a pallide caricature di Agnelli, Togliatti e Di Vittorio.

In questa pagina riportiamo le parole di tre donne: Lucia Carlesi, consigliera comunale a San Casciano e protagonista della vicenda; Anna Marson, assessore regionale all’urbanistica e al territorio; Ornella De Zordo, consigliera comunale a Firenze. Tutte e tre hanno un ruolo all’interno delle istituzioni e tutte e tre animano un dibattito culturale ineludibile, che, se svolto compiutamente, potrà offrire alla nostra regione, e non solo, una prospettiva futura in grado di rimettere al centro la persona e l’ecosistema in cui essa vive. A scapito, una volta tanto, del profitto e della rendita di pochi che, è il caso della Laika di San Casciano, trova, il sostegno – incredibile, se non fosse figlio del ricatto occupazionale – di chi raccoglie le briciole sotto al tavolo. (R.C.)


UNA VITTORIA DI PIRRO

di Lucia Carlesi
http://laboratorioperunaltrasancasciano.blogspot.com/


Quando la demagogia prevale sul confronto e sul rispetto, perde la democrazia. È quanto è successo durante la seduta del consiglio comunale di San Casciano del 29 settembre quando, tutti insieme, partiti di sinistra (ma questa definizione è ancora possibile?), di destra e lista civica, appoggiati dai dipendenti Laika giunti in gran numero, hanno “processato” il nostro gruppo Laboratorio per un’Altra San Casciano-Rifondazione Comunista che ha presentato un ordine del giorno per opporsi alla decisione presa dall’Amministrazione di rimuovere i reperti archeologici di Ponterotto. Facile intuire l’esito della discussione, viste le forze in campo. Ma siamo sicuri che non sia la vittoria di Pirro?

Ha prevalso la demagogia, appunto. Le nostre motivazioni di contrarietà al progetto sono state chiare e argomentate, dobbiamo constatare che ieri nell’aula consiliare nessuno ha saputo o voluto dare risposte concrete alle nostre obiezioni.

Noi abbiamo parlato di difesa dei beni comuni: l’ambiente, il paesaggio, il patrimonio storico di una collettività si tutelano quando non si mettono in conflitto con la dignità del lavoro e i diritti dei lavoratori, quando si ha la capacità politica di gestire i processi economici e le dinamiche sociali di un territorio. Su questi temi non prendiamo lezioni da nessuno. Sul banco degli imputati mettiamo questa amministrazione che in dieci anni non ha saputo offrire una risposta concreta alle richieste sacrosante dei lavoratori. Nessuno può essere così ingenuo da credere che, se ancora non è stata posata la fatidica prima pietra del nuovo stabilimento, la colpa sia di “quattro ambientalisti”.

La nuova Laika sarebbe realizzata da tempo se fin da subito fosse stata scelta una localizzazione idonea. In realtà, cedendo al ricatto occupazionale, l’amministrazione ha intrapreso una faraginosa e complessa procedura urbanistica grazie alla quale l’impresa ha ottenuto la possibilità di costruire su terreni agricoli a Ponterotto: un’operazione di rendita immobiliare che, abbiamo sempre sostenuto, ci pare abbia avuto poco a che fare né con la presunta urgenza imprenditoriale, né con la salvaguardia dei posti di lavoro. Non ha insegnato niente la fallimentare esperienza Stianti a San Casciano? O lo stabilimento Laika a Sambuca ottenuto anche in quell’occasione con variante urbanistica ad hoc e mai utilizzato? Non è seguendo gli “appetiti” industriali che si tutelano i lavoratori, si può però fare demagogia e farlo credere.

Adesso, ancora una volta strumentalmente, si afferma che “sfrattare gli etruschi”, rimuovere dal sito i reperti emersi a Ponteretto, significherà contemporaneamente valorizzare i ritrovamenti e offrire ulteriori, concrete garanzie al mondo del lavoro.
Niente di più falso. In un momento di grave crisi nazionale e mondiale del settore nel quale è coinvolta pesantemente anche la multinazionale Hymer, costruire un gigantesco capannone, che sembra effettivamente sproporzionato rispetto alle previsioni produttive dell’azienda, non potrà dare nessuna certezza ai lavoratori. Si perderà invece l’autenticità di una testimonianza storica, trattando i resti della fattoria etrusca e della villa romana alla stregua di mattoncini Lego, come in questi giorni ha osservato autorevolmente il prof. Settis, commentando la vicenda. Per far questo l’amministrazione investe proprie risorse, fateci capire dov’è l’interesse pubblico dell’operazione.

Vorremmo anche una risposta ai dubbi sollevati sulla correttezza della delibera che la Giunta ha adottato, ove, tra l’altro, non viene dichiarato l’ammontare della spesa pluriennale che si dovrebbe sostenere e neanche a quali capitoli di bilancio viene imputata.

Di tutto ciò avremmo voluto discutere in consiglio comunale; purtroppo abbiamo soltanto assistito al triste spettacolo di un’amministrazione impegnata solamente a costruire un capro espiatorio (l’ambientalismo contrapposto a chi difende il “lavoro”) per scaricare le proprie responsabilità. Noi abbiamo offerto una chiave di lettura diversa della vicenda e come sempre abbiamo coerentemente rappresentato un’altra prospettiva e un’altra proposta politica che vede nella riconversione ecologica dell’economia, nella difesa dei beni comuni e nella tutela del territorio l’unica strada che abbiamo a disposizione per uscire da una crisi economica strutturale e dare risposte serie e concrete,nel tempo, al mondo del lavoro. Ed è così che esprimiamo la nostra solidarietà con i lavoratori Laika.

Ci crediamo e continueremo a sostenere con impegno queste proposte.

***

SI RIDICOLIZZA PER NON ENTRARE NEL MERITO DELLA QUESTIONE

di Anna Marson
http://www.regione.toscana.it/annamarson/index.html

Nelle ultime settimane, a partire dalla tribuna dell’assemblea regionale di Confindustria, e successivamente dalle pagine di molti giornali toscani, è stato più volte utilizzato lo slogan dell’«ambientalismo in cachemire che blocca lo sviluppo». Lo slogan è curioso, e farebbe quasi sorridere, oggi che il cachemire si vende anche all’Ipercoop e nel mercato dell’usato: dunque la cittadinanza attiva sulle questioni ambientali, che è piuttosto ampia e trasversale rispetto alle classi di reddito, veste comunque in cachemire.

In realtà non si può affatto sorriderne, perché esso sembra sottendere da parte di chi lo usa, oltre all’offesa o alla ridicolizzazione pubblica quale strumento per evitare di entrare nel merito delle questioni poste, l’equazione fra ambientalisti e percettori di rendite. Fra questi ultimi vi sarebbero anche i professori universitari, il cui stipendio in realtà dagli anni Cinquanta a oggi si è ridotto in termini reali svariate volte, scivolando ai minimi della dirigenza pubblica (per tacere di quella privata). Soggetti dunque cui negare il diritto di parola rispetto a progetti che promettono (nelle dichiarazioni di chi li propone) di produrre reddito.

L’esperienza maturata in questi anni evidenzia invece come siano proprio gli attori sociali, spesso fortemente compositi, che si attivano in prima persona per difendere la qualità dei luoghi in cui vivono, a mettere in questione le diverse rendite, troppo spesso rese possibili da accordi pubblico-privato e sinistra-destra che non mettono nel conto i costi collettivi di medio e lungo periodo, ma solo i ritorni elettorali e di altro genere (come molte indagini giudiziarie evidenziano), socializzando le perdite e privatizzando i profitti. Sono gli ambientalisti a bloccare lo sviluppo, o queste rendite da vero «cachemire di lusso»?

È comprensibile che gli imprenditori privati presentino le loro proposte, anche quelle speculative, come le migliori possibili. Inquieta invece che rappresentanti di istituzioni pubbliche, e di partiti cosiddetti progressisti, le accolgano entusiasticamente, rilanciandole con il refrain crescita eguale occupazione, evocando in modo sinistro la non così lontana — nel tempo e nello spazio — rinuncia all’ambiente e alla salute in cambio di un salario. Occupazione peraltro sempre più precaria e sottopagata, che rischia di essere un alibi per non entrare nel merito delle politiche pubbliche in questione, sempre più subordinate alle ragioni dell’economia finanziaria che ci ha portato all’attuale crisi.

In questa fase di crisi di sistema, caratterizzata da scenari molto incerti per quanto riguarda il nostro futuro, il territorio rappresenta nelle sue diverse prestazioni un bene collettivo assolutamente fondamentale. Chi toglie legittimità a quanti chiedono di comprendere chiaramente il saldo tra guadagni privati e interesse collettivo nelle operazioni di trasformazione del territorio, e di rinnovare così la politica nell’accezione autentica di cura del bene comune, apre la strada a una poco oculata svendita sia del territorio che della politica.

***

POCA TRASPARENZA IN UNA VICENDA CHE UNISCE DESTRA E SINISTRA

di Ornella De Zordo
http://www.perunaltracitta.org

Piena solidarietà della lista di cittadinanza ‘perUnaltracittà’ alla consigliera Lucia Carlesi di Laboratorio ‘Per un’altra San Casciano’, oggetto di violenti attacchi verbali nel corso della seduta di Consiglio comunale del 29 settembre. A provocare l’attacco, condiviso in modo bipartisan da destra e centrosinistra, è stato l’ordine del giorno da lei depositato in merito al ritrovamento dei reperti archeologici venuti alla luce a Ponterotto nel corso della costruzione del nuovo capannone della Laika Caravans.

In modo strumentale si è voluta attribuire a chi difende il territorio e il patrimonio culturale la responsabilità dei ritardi dello stabilimento Laika nella realizzazione di un progetto risalente ormai a 10 anni fa. Lucia Carlesi ha coraggiosamente affermato che la difesa di ambiente e patrimonio storico viene tutelata quando non è messa in conflitto con la dignità del lavoro e i diritti dei lavoratori, e ha esplicitamente attribuito la responsabilità di contrapporre ancora una volta ambiente e lavoro all’amministrazione comunale di San Casciano che in 10 anni non ha saputo dare una risposta concreta a questo problema.

Bastava trovare una localizzazione idonea all’insediamento della nuova Laika senza consentire l’operazione speculativa che ha consentito l’attuale insediamento a Ponterotto, terreno agricolo e ricco di reperti archeologici (si veda su questo archeopatacca.blogspot.com). E invece l’amministrazione di san Casciano non solo ha consentito un’operazione di rendita immobiliare della multinazionale ma ha investito proprie risorse senza neanche dichiarare l’impegno economico a cui dovrà far fronte per vari anni.

Sosteniamo quindi l’azione della consigliera Carlesi che ha richiesto senza farsi intimidire un altro modo di coniugare diritto al lavoro e diritto all’ambiente, e ha indicato un’altra modalità con cui le pubbliche amministrazioni devono lavorare in modo trasparente per l’interesse generale della collettività e non per il potente di turno.

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Fabbrica o casa etrusca?


di Francesco Erbani e Mario Neri, La Republica online, 17 ottobre 2011

Archeologia vs. industria

Ecco il racconto, con i punti di vista dei diversi protagonisti, che va in onda da tempo nella pace della campagna fiorentina in quel di San Casciano. La Laika (camper) vuol costruire un capannone industriale, ma nel terreno saltano fuori importanti reperti archeologici. Si trova una soluzione (spostare i reperti) un po' "italiana" e scoppia la guerra.


Come conciliare le ragioni della tutela di paesaggio e beni culturali e le ragioni della crescita industriale? La questione continua a proporsi in un paese come l'Italia ricco di un patrimonio inestimabile, sul quale gravano incuria e indifferenza. Talvolta le due ragioni riescono a convivere, ma molto spesso l'elemento che prevale è il conflitto. Nascono lunghi e faticosi contenziosi che producono solo paralisi. Tanto più insopportabili in un periodo di crisi.

Questa inchiesta si muove fra la Toscana e il Molise. L'ha realizzata Francesco Erbani insieme a Mario Neri per il video della parte toscana. A San Casciano vengono rinvenuti i reperti di due edifici, uno etrusco, l'altro romano, nel cantiere dove si costruisce un capannone industriale di 300 mila metri cubi. Il Comune e l'azienda decidono di smontare i reperti e di rimontarli su una collinetta artificiale. È un'archeopatacca, insorgono le associazioni ambientaliste, che già avevano contestato la localizzazione della fabbrica. Il braccio di ferro è durissimo. I nervi tesi, come dimostra il fatto che la Soprintendenza di Firenze, favorevole alla ricollocazione, ha fatto chiamare i carabinieri per impedire ai nostri giornalisti di filmare o fotografare il sito archeologico.

Nel Molise, invece, potrebbe sorgere un impianto eolico lungo il crinale di una collina che sovrasta il sito archeologico di Saepinum, città prima sannitica e poi romana. Inoltre le pale, alte centotrenta metri, verrebbero impiantate lungo un antico tratturo. La strada, dove è visibile la pavimentazione romana, è stata ricoperta di pietrisco e usata come strada di cantiere. La Procura indaga e il Gip ha sequestrato il sito.

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I posti di lavoro o l'archeologia?
 Scontro nel cuore della Toscana

di Francesco Erbani, La Repubblica online, 17 ottobre 2011

Succede a San Casciano Val di Pesa, in provincia di Firenze. Nel costruire il nuovo capannone di una fabbrica di camper, sono stati trovati i resti di una casa etrusca e di una romana. Soprintendenza e Comune sono d'accordo per smontarli e rimontarli in un apposito "parco archeologico". Ma la polemica adesso infuria


La fabbrica o la casa etrusca? A San Casciano Val di Pesa, provincia di Firenze, la soluzione sembra trovata: la casa etrusca la smontiamo pezzo per pezzo e pezzo per pezzo la ricostruiamo su una collinetta artificiale che ospiterà anche i ruderi di una casa romana. L’importante è che non si intralci il capannone industriale - 326mila metri cubi, 300 metri di lunghezza per 100 - durante la costruzione del quale sono stati rinvenuti i reperti sia della casa etrusca che di quella romana. Erano tutti d’accordo: la Laika, proprietaria del terreno e del futuro capannone, un’azienda che fabbrica camper, di proprietà della tedesca Hymer; il Comune, con una giunta a guida Pd; la Soprintendenza archeologica e il Comitato di settore del ministero per i Beni culturali. Sembrava fatta. Il progetto risale al giugno del 2010, le autorizzazioni procedono spedite, nessuno in paese ne sa nulla. Improvvisamente, sul finir dell’estate 2011, la notizia buca il velo di riservatezza e scoppia il finimondo. Intervengono le associazioni di tutela (Italia Nostra, Legambiente, Wwf), la Rete dei comitati toscani presieduta da Alberto Asor Rosa, ne scrive Salvatore Settis: quei muri hanno senso solo nel loro contesto, spostarli è un falso, un’operazione culturalmente inattendibile, un’archeopatacca.

E così il cantiere è fermo, chiuso da un recinto. La vicenda vede schierati su fronti opposti parti della sinistra, anche di quella più radicale. Rifondazione comunista e una lista civica a favore di una soluzione che contempli tutela archeologica, valorizzazione del territorio e difesa dell’occupazione; Pd, Cgil e Fiom furenti contro gli ambientalisti che per difendere i reperti metterebbero a rischio 240 posti di lavoro (tanti sono i dipendenti della Laika, attualmente impiegati nei vecchi stabilimenti). Uno scontro ruvido che ha raggiunto il culmine durante il consiglio comunale che qualche sera fa doveva discutere un ordine del giorno presentato da Lucia Carlesi (eletta nella lista Laboratorio per un’altra San Casciano, alleata di Rifondazione). Assistono alla riunione un centinaio di operai. Contestazioni, urla, parole grosse.

"Da anni sosteniamo che localizzare lo stabilimento della Laika in un’area agricola, di grande pregio paesaggistico e archeologico, era uno sbaglio", spiega Lucia Carlesi. "E ora i ritrovamenti lo dimostrano. Tutti sanno che questa è zona archeologica. Non si potevano fare sondaggi preventivi? Non c’erano altre aree? Questa è un’operazione di rendita immobiliare che niente ha a che fare con gli interessi dei lavoratori e della collettività". Replica dalle pagine fiorentine di Repubblica Alessio Gramolati, segretario della Cgil Toscana: "Non abbiamo nulla contro gli etruschi o contro l’ambientalismo. Siamo convinti che la sostenibilità è la frontiera obbligata dello sviluppo. Ma non un alibi per fermarlo. Perciò non ci convincono coloro che vedono la Toscana unicamente come terra del buon ritiro e non regione dove investire".
 
Se in dieci anni non si è riusciti a costruire il capannone non è colpa degli ambientalisti, insiste Claudio Greppi, geografo dell’Università di Siena e esponente della Rete. "Abbiamo sempre detto che questa era una soluzione poco praticabile. L’acquisto dell’area è del 2001, ma solo nel 2006 viene adottata la variante che trasforma in industriale un terreno che era agricolo". E poi, si domandano gli ambientalisti, perché il nuovo stabilimento è così grande, ben più grande dei capannoni dove attualmente si lavora? Sono stati presentati esposti e ricorsi, sempre respinti dai giudici. Fra gli avversari della localizzazione anche Anna Marson, docente di urbanistica e ora assessore regionale.

Favorevoli e contrari si fronteggiano da anni. Ma nel corso del 2010 spuntano i reperti. Sono resti di due case. Una, quella tardo etrusca (III secolo a.C.) è a un’estremità del perimetro del capannone, l’altra, quella di epoca romano-ellenistica, al capo opposto. Sono ambienti di diversa ampiezza. Ma di essi si sa poco o niente. Ancora non c’è una relazione definitiva della Soprintendenza che chiarisca quale sia il valore dei ritrovamenti. Subito dopo la scoperta, però, la Laika e il Comune si accordano per smontare i muri e ricollocarli sulla collinetta artificiale. A novembre del 2010 vengono informati la Direzione regionale dei Beni culturali e il Ministero. E dopo qualche mese, a gennaio 2011, arrivano le autorizzazioni.

La soprintendente archeologica, Maria Rosaria Barbera, non ha ancora visto i reperti. Dirige la sede fiorentina da gennaio. "I ritrovamenti non hanno grandissimo valore", assicura Barbera. "Lo smontaggio e il rimontaggio sono le uniche soluzioni possibili, vagliate e approvate da tutti gli organi tecnici", aggiunge la soprintendente ricordando che nel Comitato di settore del ministero siedono archeologi di esperienza come Giuseppe Sassatelli e Mario Torelli. Ma non era possibile lasciare lì i reperti e chiedere una leggera modifica al progetto? In fondo si trattava di arretrare di pochi metri, il capannone di metri ne conta 300... "Se avessimo deciso altrimenti lo scavo non sarebbe potuto andare avanti. E poi smontare e rimontare consente anche una migliore conoscenza delle strutture murarie". Chi paga per queste operazioni? "La Soprintendenza no di sicuro".

Stando agli accordi, la Laika paga lo smontaggio, la sistemazione e la valorizzazione spettano al Comune. Si parla anche della Regione, ma la giunta non si è ancora pronunciata. Il tema dei costi, insieme a quello della credibilità culturale dell’operazione, è fra i più dubbi, secondo Giuliano Volpe, archeologo di fama e rettore dell’Università di Foggia: "Smontare e rimontare è una procedura complessa e costosa, che l’archeologia conosce bene. È riservata a scoperte eccezionali oppure a mosaici o parti di pavimentazione. Meno alle murature. Nel 1998 abbiamo staccato i mosaici della chiesa paleocristiana di San Giusto, vicino a Lucera, che ancora sono in attesa di collocazione. Ma l’operazione è stata giustificata dalla costruzione di una diga. Non per far posto a uno stabilimento". Inoltre, se si tratta effettivamente di piccoli muri di scarso valore, perché, aggiunge Volpe, "spendere tanti soldi per un finto parco archeologico che tratta i reperti come componente d’arredo"? Si abbia il coraggio di portare la decisione alle estreme conseguenze: "Si documenti e si pubblichi l’intero contesto archeologico, e lo si sacrifichi autorizzando la costruzione del capannone al di sopra dei resti".

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